
Finirò di scrivere questo post, lo pubblicherò e andrò a dormire. Domani mi sveglierò e andrò a votare.
Voterò per il centrosinistra di Pierluigi Bersani, nonostante una campagna elettorale mirata più che altro a tenere compatto il proprio fronte, nella speranza (sicurezza? calcolo?) che i voti degli altri sarebbero calati. Non è che questo approccio mi piaccia tantissimo, ma tant’è, questa non è una dichiarazione di voto.
Io non so chi vincerà, eppoi sono scaramantico, per cui non lo dico: so che comunque andrà domani finirà un’era, e ne inizierà un’altra. Perché avremo un Parlamento pieno di giovani, e di donne, di persone mai viste che inonderanno i telegiornali. Avremo un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo Capo dello Stato, un nuovo Papa: i miei venticinque anni, ai quali non manca molto, cadono in un periodo di vie da prendere, scelte da disegnare. Qualcosa, lo sento da un po’, si rimetterà in moto.
Per inerzia, non per volontà di qualcuno, perché arriva sempre un punto in cui la ruota si sblocca. Non so dove andrà. E’ stato difficile crescere ed affacciarsi agli anni che contano nell’Italia di Silvio Berlusconi; nel 1994 avevo 6 anni e giocavo al computer. Sono tanti, tanti anni. Siamo cresciuti insieme, io e Silvio; mi ha cresciuto lui, ci ha cresciuti tutti. I democristiani avevano insegnato all’Italia che i peccati vanno fatti di nascosto e poi vanno nascoste anche le tracce; Berlusconi ci ha rivelato che l’Italia è, da qualche parte, anche una società di persone che ruberebbero pur di essere ricche e che quando c’è da pagare, volentieri invocherebbero un privilegio. Ma non è stato neanche questo.
Il problema è stato l’angoscia. Il sentirmi immerso in un tessuto che mi ripeteva: sarà una merda. Dovrai combattere. Non c’è lavoro. Dovrai espatriare: e come se non bastasse, era pure tutto vero. In parte ringrazio, questi messaggi ripetuti a tamburo: hanno fatto sì che iniziassi presto a trottare.
Non racconto la mia storia, anche se devo una spiegazione a quelli che prima venivano qui regolarmente, e ancora si affacciano quando scrivo: diciamo che il tempo che dedicavo a questo spazio è ora assorbito nello studio, che tenta disperatamente di sopravvivere (ce la farà) alla mia agenda quotidiana, da un paio d’anni a questa parte ormai, per fortuna, piuttosto fitta.
Non so chi vincerà domani, dicevo; so che la società italiana è cambiata. L’ha cambiata la rete, che negli ultimi anni si è diffusa a livello capillare: un buon termometro è la facoltà di Giurisprudenza, dove studio. Composta – non è per insultare, eh – da persone in media grige, e grigemente medie, dedite all’accumulo di nozioni, al fammi-firmare-che-tanto-non-ti-ascolto, e Ruzzle durante le lezioni, all’avvocato wannabe, lavoro danaroso (che poi, manco è vero). A domanda del professore, chi avesse il computer a casa, tutti hanno alzato la mano. E poi, i tablet, la navigazione mobile, vabè: insomma, la tecnologia dilaga. E questa è la base. Senza la ruota, niente commercio. Senza la stampa in serie non sarebbero state possibili né la Riforma Protestante né la Rivoluzione Francese; senza l’industria non sarebbe nato il Socialismo. Le modifiche tecnologiche disegnano e plasmano i cambiamenti sociali: chi è meglio equipaggiato, ha più opportunità.
Ed è dalla rete che sale il MoVimento che ieri ha fatto 800mila persone in piazza (secondo loro: ma diciamo sei piòtte? Quattro piòtte? Non conta: sono passato ieri tornando dal lavoro, la piazza era piena e loro erano un botto, ma una cifra proprio). Di loro, dei grillini, non ho paura, anzi, in parte sono contento del successo che avranno, per una serie di ragioni. Principalmente, il loro è un programma di sinistra: acqua pubblica, connettività, nuova mobilità, fonti rinnovabili, sviluppo economico sono le loro Cinque Stelle, e vanno bene tutte. Ieri, da casa, sentivo il comizio e c’era ben poco che non condividessi, nelle lotte dei comitati per l’acqua, antinucleare, queste piccole reti locali che la forza di Grillo e del Movimento sono riuscite ad incapsulare.
Il problema, lì, è lui: è il fatto che se non sei come dice lui, piglia e ti butta via, ti espelle; e i suoi piccoli ultras che applaudono, sguinzagliati in ogni dove, e che a volte insieme a lui dimostrano di essere fuori dalla grazia di Dio (caso Favia, caso Salsi, cas0 Agnoletto, per metterne in fila tre). Per questo non li voto – non li avrei votati comunque, ma è un motivo in più. Il problema è questo suo fare ducesco, ma per il resto, credo che se parlassi con un esponente del MoVimento che non sia fuori come una zucchina (non ne conosco, di esponenti intendo, e non so quale è la media) ci troveremmo d’accordo su moltissime cose; e so che all’interno dei seguaci di Grillo ci sono anche moltissimi raccogliticci che vengono da destra, ma se questi figuri hanno piacere di lottare per l’acqua pubblica e le biciclette, che dire, è in gran parte un problema loro.
In ogni caso – mi dilungo su Grillo perché è importante – loro sono l’effetto di una responsabilità del centrosinstra: l’aver mal governato nel 2006. Perché da questo punto di vista il discorso è più che lineare: mi avete convinto a votare per voi, poi non avete fatto il conflitto d’interessi, vi siete messi a litigare, sembravate un circo Barnum, e allora… Già, vaffanculo, appunto.
Non volevo parlare così tanto di politica e di queste elezioni. Sono un appuntamento, però: piuttosto, volevo dire dell’aria che sento in giro. Nuova. Sarà che mi sento più grande io, forse più positivo: in questi ultimi tre anni, da quando questo blog è finito un po’ nel congelatore da cui prima o tardi uscirà, sono successe tante cose. Ho trovato chi mi ascolta, ho trovato lavoro e poi l’ho perso, poi ne ho trovato un altro. Ho scoperto parti di me, ne ho cambiate altre; ad esempio, ho meno ansia di scrivere qui, oltre che meno tempo, meno necessità di affermarmi. Mi sono formato, in esperienze decise e nette, che mi hanno insegnato a prendere posizione: farlo davvero, poi, è altra storia. Continuo a studiare, ed è dura, ma non mollo. Cerco di trovare intorno a me i segni di una rinascita che c’è: le imprese giovanili, gli startupper, la musica che resiste – peccato se si scioglie; gli amici, i compagni di trincea. I ragazzi da educare, l’imperdibile possibilità di dire a loro, che sono il futuro, qualcosa di diverso.
E’ questo che succederà domani. Non si tratta di perdere o vincere un’elezione, che poi è probabile, i sondaggi si sanno, ma non è detto, per cui: non si dice. Si tratta di capire che se non sarà domani, forse sarà dopodomani, ma qualcosa cambierà. Le energie vive hanno trovato un’altra strada, hanno aggirato il tappo, non hanno scavalcato la fila (è impossibile, chi ci prova muore), ma ne hanno inventata un’altra, più a loro misura. In silenzio, di nascosto, dove conta, questo paese è già ripartito. Guardatevi intorno e lo scoprirete.