Archivio per novembre 2012

Domenicavoto.it è la sconfitta del Pd

Ecco perché, in dieci punti.

Ieri Monica Maggioni ha concluso il dibattito fra i due candidati al ballottaggio per le primarie del Centrosinistra con un messaggio di felicità: “Mi avete fatto sentire cittadina di un paese normale”. Festa, abbracci, scintillii: il giorno dopo, è scoppiato il panico.

Mi riferisco ovviamente alla pubblicazione su quotidiani di tiratura nazionale delle istruzioni per utilizzare il sito http://www.domenicavoto.it, messo in piedi in fretta e furia dalla fondazione Big Bang di Renzi, e che consiste in null’altro che un form da riempire per inviare dati che qualcuno, un non meglio definito intermediario (lo staff di Renzi?), invierà, o saranno inviati in automatico, al competente “coordinamento provinciale” perché vagli la giustificazione del soggetto al voto per il secondo turno.

L’arrivo di questo sito ha portato scompiglio: il culmine è la presentazione, da parte di rappresentanti degli altri candidati, di un’esposto ai garanti del Partito Democratico per denunciare Matteo Renzi di irregolarità regolamentari. Basta leggere l’esposto (lo trovate qui) per capire quali sono le irregolarità che i quattro imputano a Renzi: violazione del dovere di lealtà, violazione degli obblighi economici.

La situazione è ormai deflagrata: l’esposto, i commenti di fuoco da una parte e dall’altra sui social network, il mailbombing, la satira virale, il commento del segretario, le repliche al vetriolo dallo staff di Renzi. E’ tempo di fare alcune considerazioni, in ordine sparso, su quel che sta succedendo.

  1. La considerazione più importante la scrivo per ultima. Se vuoi leggere solo quella, vola giù.
  2. Il Partito Democratico è tutt’altro che unito, coeso e sincronico come lo vorrebbe descrivere Bersani: “Ne usciremo più forti”, è il leitmotiv del segretario. Ma così non è: sono giorni, settimane che sui gruppi del Partito Democratico su Facebook la gente si scanna, per una serie di motivi che vedremo. L’arrivo di DomenicaVoto.it ha solo reso pubblico quel che in privato era evidente: le Primarie sono da un po’ diventate un congresso del Pd a cielo aperto , peraltro particolarmente cattivo nei toni, e come in tutti i congressi, si picchia duro. Qui in particolare. 
  3. Il deferimento al comitato dei Garanti avviene con una dinamica davvero inconsueta: il presidente di quel comitato, Luigi Berlinguer, stamattina ha avuto parole di fuoco nei riguardi del comportamento di Renzi. Insomma, l’arbitro ha già parlato, e mi stupirebbe una pronuncia del comitato a favore del sindaco di Firenze (con tutto che, come vedremo, la sua colpa è tutt’altro che univoca). E ricordate che su questo blog è di casa l’incerto, parlo in maniera a-partigiana.
  4. Se si crea un problema sulle regole è perché le regole lasciano margine (in giuridichese, sono scarsamente determinate e tassative), insomma: sono scritte male. Ecco il comma 4 dell’articolo 14 del regolamento delle Primarie, quello che norma il ballottaggio.

    “Possono altresì partecipare al voto coloro che dichiarino di essersi trovati, per cause  indipendenti dalla loro volontà, nell’impossibilità di registrarsi all’Albo degli elettori entro  la data del 25 novembre, e che, in due giorni compresi tra il 27/11 e il 01/12, stabiliti con  delibera dal Coordinamento nazionale, sottoscrivano l’Appello pubblico in sostegno della Coalizione di centro sinistra “Italia Bene Comune” e quindi si iscrivano all’Albo degli elettori .

    Questa è una regola che lascia un margine di incertezza: no, non è vero che “il corpo elettorale è quello del 25 novembre”, come ha detto Berlinguer. C’è almeno un modo per iscriversi dopo, che in questo caso è: si deve dimostrare al coordinamento provinciale di essere stati impossibilitati. Per dirla con il sito di Renzi, “scrivici che erano motivi di famiglia, poi valuterà il coordinamento e ti dovrai adattare”; così, nel dubbio, scrivo. E anzi, il sito messo su dalla Fondazione Big Bang è uno strumento utilissimo per l’applicazione della norma del regolamento (come dice Giuliano da Empoli, è stato fatto un servizio a tutti; come dice Gad Lerner, presentare un esposto significa pensare automaticamente che tutte le persone che vogliono votare solo al ballottaggio siano elettori di Renzi, il che è una stupidaggine e un autogol).

  5. Delle motivazioni che i ricorrenti presentano, quelle che riguardano i doveri di lealtà del candidato sono molto questionabili (ad esempio, non è affatto detto che chi si iscrive su domenicavoto.it sia per qualche motivo indotto a votare Renzi). Più pregnanti sembrano essere quelle economiche: Sindaco, chi ci ha messo i soldi?
  6. Come ha spiegato Linkiesta, nel regolamento per le Primarie c’è scritto che “le iniziative dei candidati devono essere olte a favorire la più ampia partecipazione dei/le cittadini/e alle primarie”: il sito della fondazione Big Bang sembra perfettamente in linea con questo spirito. Così nel merito: per quanto riguarda il metodo, però, vedi più sotto.
  7. Il mailbombing da parte dei Bersaniani per far saltare il sito domenicavoto.it è una mondezza, una vergogna, una reazione da bimbo invidioso. Mi viene da pensare che abbiano rosicato perché avrebbero voluto fare una cosa del genere loro, e prima: oppure, che il motivo sia quello che scriverò alla fine.
  8. Il metodo di Renzi (o di chi per lui) è stato scorretto: non sarebbe successo nulla se la creazione del sito fosse stata proposta al Coordinamento per le Primarie. In caso di risposta negativa, si poteva montare un bel putiferio e rivendersela politicamente: “Noi l’avevamo chiesto, loro non hanno voluto”. Così, invece, sembra una furbata da bimbo sveglio che si approfitta degli errori del bimbo invidioso: siccome c’è spazio, lo occupo. Ma in situazioni così delicate, non si fa così: si gioca corretto fino alla fine, tenendo presente che la controparte è un po’ permalosetta.
  9. E questa pubblicità l’avevano vista Bersani e compagnia? E questi manifesti abusivi attaccati in tutta Roma?
  10. Le primarie non finiscono qui: ci sono quelle per il sindaco di Roma, ci sono quelle lombarde. Se questo è il clima che si crea quando si arriva al dunque, probabilmente qualcuno chiederà che non si facciano più: e sarebbe un peccato.
  11. Renzi deve morire col gas. Nel senso: questo è quello che pensano da tempo moltissimi esponenti del Partito Democratico, moltissimi militanti, attivisti, il famoso zoccolo duro interno; a prescindere, comunque, sempre. Perché Renzi sta tentando di fare il più grave dei crimini all’interno del Pd: saltare la fila. Ne parlavamo, molto tempo fa, proprio a proposito di Renzi: e come dicevamo, da giorni la temperatura nei gruppi di discussione dei militanti del Pd si era portata al livello di fusione dell’acciaio, con battute sarcastiche, frasi di supponenza, piccoli segnali di epurazione interna ai danni dei supporter del sindaco: il problema è, ed è sempre stato, che come dice una sostenitrice di Renzi, il sindaco di Firenze rischiava e rischia di vincerle, queste primarie. E questo sarebbe, o sarebbe stato (fate voi) inaccettabile per le tante persone che in questi anni di cupo berlusconismo hanno smazzato in silenzio nei ranghi del Pd: oh, dallo scritto non si capiscono i toni, ma io lo dico con stima. Queste reazioni, viste da questa luce, sono del tutto naturali: è vera e propria lesa maestà; per la base bersaniana, Renzi è uno che arriva e si vuole appropriare del loro lavoro. E lo fa esplicitamente, ha pure il coraggio di chiedere la rottamazione di un’intera generazione di militanti, personaggi politici, quadri intermedi che hanno scommesso sulla sopravvivenza del Pd, sulla luce alla fine del tunnel, sul sicuro 20% sempre garantito ad un partito di centrosinistra in questo paese che li avrebbe portati da qualche parte e ripagato i loro sforzi (ripeto, spero di essere preso con sincerità: credo che sia del tutto naturale, e lo dico con stima) e la loro traversata del deserto sotto le bombe, i cannoni e le bestemmie dell’opinione pubblica. Per questo ogni tentativo di Renzi di portare più gente a votare, di insinuarsi negli spazi lasciati distrattamente liberi, di proporre un partito e un centrosinistra nuovo, in una parola: di vincere le primarie, causano una vera e propria levata di scudi: “Bello di casa, qui c’è gente che sta in fila da prima di te”. E tutto questo può essere preso come qualcosa di orribile, una ragione in più per sostenere la battaglia personale del sindaco di Firenze; oppure un dato di partenza che Renzi doveva considerare in maniera maggiore, diversa, più accorta e che alla fine lo condannerà. Questo decidetelo voi: probabilmente è entrambe le cose.

Per parte mia so due cose: che l’incerto regna ormai sovrano, e che domenica piove. E lo sappiamo tutti cosa vuol dire in termini di affluenza, e cosa voglia dire, a sua volta, una bassa affluenza per il risultato finale di queste primarie.

Foto : Giornalettismo.com

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L’Ilva, l’incerto e l’Italia che lavora

Nel giorno in cui Taranto la città più splendente, più importante, il faro della Magna Grecia viene colpita da un tornado che si abbatte sull’impianto siderurgico più grande d’Europa, e, allo stesso tempo, la più grande fabbrica di veleno del vecchio Continente, non mi sento del tutto al mio posto nel proporre una riflessione sui programmi dei due sfidanti alle primarie, pur centrate sulla politica industriale. Ho paura che qualcuno mi prenda per uno sciacallo.

Eppure, la questione è politica. Dopo l’uragano Sandy a New York, la rivista della casa editrice Bloomberg, la Businessweek, non certo un bollettino degli eco-anarchici, è uscito con una copertina rosso-allarme con scritto a caratteri cubitali: “E’ il cambiamento climatico, cretini!”. Già, queste cose non accadono per caso: sono gli scienziati di MeteoWeb a chiarirci che sì, Taranto per la sua posizione può essere interessata anche da “fenomeni meteorologici vorticosi”, ma di “watersprout” come quello di oggi davvero non si ha notizia.

Ecco perché, anche per rispetto alla Taranto morta avvelenata, dispersa, licenziata, lasciata per strada, bisogna parlare di politica industriale, di politica ambientale, di sviluppo, di nuovo corso dell’industria italiana. Di come trasformare, o iniziare a farlo, questo paese dal regno del capitalismo straccione e velenoso ad un paese dove si possa far industria, produrre, trasformare, lavorare, contribuendo nello stesso tempo a non devastare il pianeta, il suo clima, il suo equilibrio. I familiari e gli operai dell’Ilva, credo, vorrebbero questo per i loro figli.

E allora, vediamo.

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L’incerto all’appuntamento con Beppe Grillo

Mi è dispiaciuto aver potuto solo scrivere due analisi dell’incerto per il primo turno di queste primarie. Purtroppo gli impegni si sono accavallati: tuttavia, non è ancora finita, perché il secondo turno ci dà l’occasione di sviscerare ancora e meglio quali siano i punti controversi dei, a questo punto due, candidati alle primarie del Centrosinistra.

Ovviamente l’incerto ha votato, non dice come, e andrà a votare anche al secondo turno. Ho una mezza idea riguardo sul nome su cui orientarmi al ballottaggio, è una mezza idea abbastanza solida ma è pur sempre una mezza idea, pronta ad essere smentita dai fatti, dalle affermazioni, e dai programmi. Questa volta però, non parliamo né dell’uno né dell’altro: parliamo di quel che succederà appena si metterà piede nel nuovo Parlamento, dopo le elezioni del prossimo aprile. Sono due gli appuntamenti importanti che bisognerà necessariamente prendere in considerazione, ovvero la presenza, imponente, del movimento 5 Stelle, che sarà probabilmente la terza o seconda forza parlamentare del paese; e l’elezione del Presidente della Repubblica. Forse dovremmo ancora parlare di temi e dossier programmatici: ma per far passare i programmi e farli diventare leggi servono i voti, e Giorgio Napolitano ci ha insegnato come un presidente della Repubblica possa avere un ruolo difficilmente trascurabile nel gioco politico quotidiano. Dunque entrambe le questioni mi sembrano più che centrali.

Iniziamo dalla prima delle due. Diciamo che la legge elettorale, il cosiddetto Porcellum, non sarà in nessun modo modificata dalle forze parlamentari: ancora oggi ho sentito Enrico Letta che diceva, cattivissimo, che semmai il Pd farà “le primarie per le liste bloccate”. La verità, credo, è che come nel 2008 il Porcellum garantisce un ricco premio al partito con un voto in più, e ad oggi i sondaggi danno al Pd ben più di un voto in più: tutto è ancora aperto, sopratutto date le incombenti primarie del PdL, ma credo (spero?) che la situazione non cambi di molto dal punto di vista dei voti, credono e sperano lo stesso anche i leader del Pd e la sensazione è che questa legge in fondo faccia comodo.  A legge elettorale vigente, le percentuali degli ultimi rilevamenti danno la coalizione di centrosinistra avanti, tallonata dal Movimento 5 Stelle: media degli ultimi sondaggi Pd, 28%, più 5% Sel e altri spiccioli dei socialisti, arriviamo al 34% (hey guarda, la percentuale di Veltroni, senza SeL). Chi può dire se questa percentuale salirebbe, e di quanto, se le primarie le vincesse Renzi? Vedremo: in ogni caso, secondo Scenari Politici, sarà il dato del Movimento 5 Stelle a rimanere ancorato al 20%.

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Quale giustizia per i bulli omofobici?

Un ragazzo quindicenne romano non ce la fa più e si impicca a casa sua. Portava i pantaloni rosa e si metteva strani smalti sulle dita: era gay. E i suoi compagni di classe lo prendevano in giro, e avevano anche aperto una pagina Facebook per sfotterlo. O forse no.

O forse era uno scherzo. Dalla scuola, il Cavour, teatro di questa assurda eppure così presente vicenda, i compagni negano: l’omofobia non è di casa qui. Non fa niente, non è questo il punto: A., in ogni caso, non tornerà più. E’ al futuro che dobbiamo pensare: perché se mai saranno catturati, questi o altri bulli che su Facebook o sui manifesti incitano alla discriminazione, all’odio raziale o omofobico, se devo fare una veloce stima, difficilmente saranno mai condannati a qualcosa di serio. Né domani, né nel breve periodo.

Vediamo perché. Il primo motivo, è che in questo caso dovrebbe trattarsi di imputati che sono minori: e il codice penale riconosce moltissime scriminanti, moltissimi trattamenti di favore verso i minorenni colpevoli di reato. E, c’è da aggiungere: per fortuna. Perché in questi anni così cattivi si corre davvero il rischio di perdere la bussola del diritto, una bussola che ci dice innanzitutto che le regole umane sono fallaci. E arrivano dopo: e quando si arriva dopo, c’è sempre ben poco da fare. Che senso ha condannare un ragazzo come si condannerebbe un adulto, in un sistema improntato alla rieducatività della pena, al reinserimento, alla seconda occasione (quello di cui parla la nostra Costituzione, l’unico che mi interessa, l’unico che è il mio)? Nessuno, in effetti. E per cui i minori responsabili di reato, è naturale, a livello sia di procedimento che di pena, godono di trattamenti di favore.

Ma non è nemmeno questo il punto. Diciamo che c’è un gruppo di adulti nazi che si diverte a mettere in piedi una pagina Facebook per dare addosso all’ipotetico ragazzo con i pantaloni rosa: io non voglio improvvisarmi quello che non sono, e non sono un esperto di diritto penale. Ma mi sento di poter dire che nemmeno questi bulli fintogiovani con le teste rasate, nella stessa identica situazione che stiamo prendendo in considerazione, sarebbero condannati per aver causato la morte di A. E il punto, ovviamente, è la nostra legislazione.

“Manca la legge contro l’omofobia”, diranno i nostri piccoli lettori. No. Cioè, sì, ma non è quello il punto. Il più recente testo Concia, quello che ha concluso l’esame della commissione all’inizio del mese, non influirebbe in nessun modo su ciò che è successo al Cavour: quello va a modificare la legge Reale, che punisce l’istigazione di atti di discriminazione o violenza. Forse sulla prima delle due fattispecie la legge potrebbe operare, ma sulla seconda certo no. Qui nessuno ha commesso violenza fisica, “causando una malattia nel corpo o nella mente” per dirla col codice, o istigato a compierla (“picchiate quel frocio di m.”: no, non è quel che è accaduto). E infatti gli inquirenti indagano contro ignoti senza ipotesi di reato, e per Repubblica si potrebbe arrivare ad indagare, più formalmente, per istigazione al suicidio, articolo – la so! – 582 del Cp.

Quale è il problema in questa ipotesi? Il, cosiddetto, dolo. Ovvero, l’istigazione al suicidio non è certo un reato colposo (oh, che sbadati che siamo stati, scusateci): no, per questo reato serve l’intenzionalità. E ammesso che qualcuno verrà tirato dentro per quel che è successo a questo ragazzo, bisognerà dunque dimostrare il sicuro e diretto collegamento fra l’attività vessatoria su Facebook, il conseguente stato di depressione del ragazzo, il proposito suicida da parte di A. e, almeno, la previsione da parte del bullo o dei bulli dell’evento suicidio e la volontà di causarlo proprio in quel modo: insomma, che avevano un piano . Piuttosto difficile, e per questo mi viene da pensare che un’incriminazione del genere, se scelta dalla procura, sarebbe piuttosto infelice: parlavo stamattina con una studentessa di diritto che, appunto, condivideva l’analisi. “Se ti prendo in giro e ti ammazzi, il suicidio è davvero conseguenza diretta? C’è davvero il nesso causale?”: abbastanza labile come ricostruzione, va detto.

Ciò non significa che non potrà in effetti finire così, ma sono abbastanza scettico. E questo anche perché nel nostro ordinamento manca una definizione chiara del dolo eventuale, unico stato psicologico (non vorrei scendere troppo sul tecnico) per cui questo reato potrebbe essere effettivamente punibile: apro una pagina Facebook in cui prendo in giro un adolescente omosessuale sapendo che questo potrebbe portarlo al suicidio, accetto questo rischio e agisco comunque, e vengo così punito per dolo. Ebbene, la definizione di casi di questo tipo è stata per troppo, troppo tempo lasciata alla sola giurisprudenza, mentre il legislatore dormiva.

Se ricostruisco bene (si accettano osservazioni) temo che l’unica incriminazione realistica per questo caso sia quella di atti persecutori, il famoso stalking, e che purtroppo il suicidio dovrà rimanere senza responsabile: avrebbe potuto essere punito all’interno dello stalking, se il 612-bis fosse stato costruito come delitto aggravato dall’evento (maltratto qualcuno che, per disperazione, si suicida). Ma così non è: in più, e qui può entrare in gioco, manca l’aggravante della discriminazione omosessuale, quella delle leggi Concia, che avrebbe potuto peggiorare il quadro. Difficile pensare che ci trovi davanti al reato di maltrattamenti, perché quello presuppone un rapporto verticale (famiglia, professori, datori di lavoro) che qui mancava.

Non scrivo tutto questo per esercizio di stile, ma per segnalare un’emergenza: non so se alla fine A. si sarà suicidato per bullismo omofobico; so però che prima o poi qualcuno potrebbe farlo. E, il punto è, che il nostro codice penale è inadeguato ad essere applicato a queste situazioni: manca la definizione di dolo eventuale, manca una miglior definizione dell’istigazione al suicidio – lasciata un po’ stare perché sennò bisognava mettersi a discutere di eutanasia: orrore! – e manca l’aggravante dell’omofobia. Il lavoro da fare è moltissimo.

Le primarie dei diritti, fra Costituzione e coraggio

La seconda puntata dell’incerto che legge i programmi per le primarie del centrosinistra si rivolge ad una tematica che per l’incerto non è centrale. Ovvero: parliamo di una questione talmente tanto incancrenita e noiosa nel dibattito politico italiano, che, vi prego, sarebbe davvero da risolvere nei primi 100 giorni di qualsiasi governo per far diventare l’Italia un paese un po’ più normale e tornare dedicarsi ad altro di ben più urgente, tipo il debito pubblico.

Eppure, come andremo fra poco a vedere, questo traguardo potrebbe non essere agevole; il che non vuol dire che la questione vada accantonata o comunque, come cercherò di spiegare, elusa. Sto parlando del diritto a che due persone dello stesso sesso possano chiamarsi coniugi senza che questo desti pubblico, privato o condominiale scandalo. “Alcune persone sono gay, fatevene una ragione” è la frase elaborata dallo storico movimento di liberazione omosessuale Stonewall, inglese: e perché tutti se ne facciano una ragione, non dovrebbero essere necessari gli anni, secoli, eoni che finora ci sono voluti. Risolviamo il problema e passiamo oltre: alcune persone sono gay, fatevene una ragione (e piantatela di scocciare, possibilmente).

Ora, l’incerto sarà pure incerto su chi votare alle primarie, ma per una volta non lo è sulla questione: io sono contrario al riconoscimento giuridico delle unioni di fatto. Sono per il metodo islandese: quando la premier socialdemocratica Jóhanna Sigurðardóttir, lesbica, è salita al governo, il suo esecutivo ha cancellato la norma sulle unioni di fatto e ha trasformato il tutto in un istituto matrimoniale “gender-neutral”, eterosessuali, omosessuali, non c’è problema. E io sono d’accordo, facciamo anche noi così, scavalchiamo tutta la questione delle unioni civili e passiamo direttamente al matrimonio: non vedo perché lo stato dovrebbe dare copertura giuridica ad unioni che non hanno ancora acquisito il vincolo della stabilità mediante una esplicita dichiarazione di volontà da parte dei contraenti.

Per quanto riguarda il matrimonio, la famiglia, queste cose qui, io sono per la flessibilità in uscita, per così dire: o ti sposi o non ti sposi. Poi magari divorzi (e la riforma sul divorzio breve è qualcosa su cui si dovrebbe ragionare, più che altro per evitare separazioni posticce praticamente eterne), ma non è che qui dobbiamo passare il tempo a inventare surrogati del matrimonio per star dietro a personaggi che “la famiglia è cambiata” o che “non credo nella stabilità dei rapporti”: perfetto, non sposarti, convivi, fai i figli e sii felice. Ma se vuoi i diritti, ti accolli anche i doveri.

Ovviamente qui parliamo di matrimonio civile: Santa Madre Chiesa farà il suo cammino e farà le sue scelte, con i tempi che riterrà opportuni. Parliamo di due cose diverse, qui si tratta dello Stato. E so che la questione delle coppie di fatto è rilevante non solo per i rapporti “para-matrimoniali”, ma anche per il famoso esempio delle “vecchiette che convivono e si danno reciproco sostegno”: ebbene, quella situazione, che secondo me – intendiamoci – è incredibilmente rilevante, si può aggredire pensando ad altri istituti che non siano surrogati di matrimonio.

E qui arriviamo alle proposte dei tre candidati alle primarie sulle unioni omosessuali, che però non possono eludere la pronuncia della Corte Costituzionale dello scorso dicembre 2010, che è molto sibillina e tipica del gioco dei poteri della nostra Repubblica: sostanzialmente il giudice costituzionale ha rifiutato di interpretare le leggi attuali fino a chiarire che, sì, in effetti le unioni gay sarebbero già ricomprese nel nostro ordinamento. Lo ha fatto in una prospettiva storica facendo notare che tutto il nostro ordinamento è pensato per un unione fra un uomo e una donna: ai tempi della Costituzione nemmeno si erano posti il problema; il codice civile è abbastanza ambiguo, ma altre norme (filiazione, disconoscimento, divorzio) sono esplicitamente pensate per un uomo e una donna.

Così la Corte rimanda la palla al legislatore, legandogli praticamente le mani: si dice, l’unione omosessuale potrà essere garantita da istituti minori (coppie di fatto) a cui avete ampio diritto di pensare, voi politici: e anzi, fate in fretta. Per quanto riguarda il matrimonio gay, stante l’intero spirito dell’ordinamento, se lo approvate e qualcuno solleva la questione di costituzionalità, saremo costretti a bocciarlo perché irrazionale e dissonante rispetto alla Costituzione e alle altre leggi.

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Gli studenti, le manifestazioni e le primarie del diritto allo studio

Mio fratello, okkupante la sua scuola pubblica “contro la privatizzazione dei saperi” e “contro il Ddl Aprea”, non andrà a votare alle primarie del Pd. Non ci andrà perché è minorenne, ma se fosse maggiorenne domani, comunque non ci andrebbe: “Non ho seguito, non mi sono informato, che dice Grillo?”. Ecco un ragazzo che il centrosinistra italiano non sa nemmeno dove sta di casa, e di cui il centrosinistra italiano non sa l’indirizzo.

Informazione flash: sono tanti. Moltissimi. Praticamente tutti quelli con cui ho parlato, esplicano la propria voglia di politica in manifestazioni spontanee, male organizzate e senza particolare attenzione ai contenuti. Niente di male, più o meno lo facevamo anche noi: ma poi, quando c’era da andare a votare per le primarie del Pd, ci siamo andati più o meno tutti.

Forse ci andranno anche loro, fra due anni. Forse no. Non è questo il punto. Il punto è, come ho detto l’altra volta, è riuscire a capire chi, a questo giro, può vincere due volte in una volta sola; portare a casa un’elezione che definisce un’epoca. E mi sembra dunque doveroso guidare il mio incerto interiore, nelle pagine e pagine di dichiarazioni programmatiche, partendo innanzitutto da quello che per me è il mattone del futuro. Il diritto allo studio.

Davanti alle immagini dei soliti ignoti che tirano i lacrimogeni dalle finestre del ministero; ascoltando, leggendo, i racconti dei ragazzi che partecipano alle manifestazioni; guardando le scuole del mio Municipio romano occupate in sincronia dagli studenti – “ma voi non avevate Facebook”; vedendo le immagini delle cariche della polizia, degli effetti personali degli studenti gettati nel Tevere, delle provocazioni di Blocco Studentesco che è stato lasciato imperversare nelle nostre scuole con una colpevolezza che rasenta la complicità, mi sembra evidente che la scuola italiana è completamente persa; come priorità della sinistra, intendo. Abbandonata sia nei principi che nelle pratiche quotidiane dell’azione politica: diciamo che, nonostante le intenzioni, ce la siamo persa per strada. E deve tornare ad esserlo, una priorità, bisogna riacchiapparla per diventare effettivamente un paese civile.

Vediamo dunque chi convince di più il mio incerto interiore sui temi della scuola, del diritto allo studio, dell’istruzione fra Pierluigi Bersani, Nichi Vendola, Matteo Renzi.

Nota iniziale: non prendo nemmeno in considerazione i programmi di Laura Puppato e Bruno Tabacci. Credo che la Puppato sia una donna straordinaria che stia correndo per la battaglia sbagliata. Se il punto è la presenza femminile, diventa una battaglia di testimonianza. Lei doveva essere il candidato del Pd alla Regione Veneto, per liberarci definitivamente della Lega anche lì. O almeno provarci. Così prenderà il 2% e sarà bruciata. Il mio voto non cambierebbe la questione. Bruno Tabacci è una persona serissima; su molte cose però non siamo d’accordo. Lo vedrei bene come ministro. Prenderò solo in considerazione i candidati che.. uhm, potrei votare. 

Oh, ragassi, volevate mica una cosa precisa. 

Iniziamo con il programma del segretarione, l’uomo di Bettola. Quando si trattò di essere incerti su chi votare al congresso del Pd, tirai fuori una definizione di Pierluigi Bersani che ebbe una certa fortuna: è come il Tg3. Solido, rassicurante, genericamente affidabile ma concretamente generico. E’ bello vedere che, anni dopo, ben poco è cambiato. La sezione del programma sulla scuola del candidato Bersani si chiama “Saperi” e sarà lunga al massimo 100 parole. Gli impegni concreti, se così si può dire, sono tre.

È necessario un piano straordinario contro la dispersione scolastica, misure per il diritto allo studio e investimenti sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. CREDIAMO NEL VALORE UNIVERSALISTICO DELLA FORMAZIONE, DELLA PROMOZIONE DELLA RICERCA SCIENTIFICA E DELLA RICERCA DI BASE IN AMBITO UMANISTICO.

Quindi, riportare i pischelli a scuola, “misure per il diritto allo studio e investimenti per ricerca e innovazione”. Wow, ganzo: a scrivere una roba del genere ci riuscivo pure io. Sarà anche “solo una delle 10 idee”, non sarà un programma preciso: e allora, che dovremmo dire? Tutto condivisibile e molto giusto. Però manca un come, manca un quando, manca un dove-trovi-i-soldi. Mancano cose ancor più avanzate del banale “diritto allo studio”: una scuola partecipata, democratica, più potenza alle rappresentanze studentesche, una scuola come luogo di comunità, un ragionamento senza paraocchi sulla didattica italiana, sulla classe docente, sul ritmo vitale dello studente italiano costretto a mostruose ore di libri quando la pedagogia moderna e sperimentale dice ormai con forza che la strada da prendere sarebbe un’altra… Non vorrei essere severo: so che se/quando Pierluigi Bersani sarà al governo, l’Italia sarà un posto migliore e l’istruzione sarà al centro dei pensieri del nuovo esecutivo. E avremo scuole di qualità e università competitive. Ma qui c’è solo un incerto che legge i programmi, e se legge questo trova poco. Segretà, sarebbe 5

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L’incerto guarda il confronto per le primarie – Liveblogging

Ci vediamo su questi lidi per seguire, live, il confronto fra candidati del centrosinistra su SkyTg24. Con poche speranze di uscirne più convinti di come entriamo, ma non ponendo limiti alla provvidenza.

22.30 Saludos

22.30 Semprini chiude la partita esattamente alle 22.30, in perfetto orario. Parla Pisapia e invita il vincitore delle primarie a Milano per l’apertura della campagna elettorale.

22.21 Non sbobinerò gli appelli, darò un voto complessivo sull’appello e sull’impressione collettiva del dibattito.

BERSANI: credo sia stato penalizzato dalla modalità del dibattito, non è un one-man-show all’americana e sembrava a più riprese infastidito. Si è accodato varie volte agli altri e secondo me questo peserà a suo sfavore, ha parlato spesso per ultimo e anche questo l’ha visto spento. L’appello finale sul linguaggio sembrava Veltroni: in ogni caso molto concreto su ogni proposta, si presenta come credibile e non so se ci è riuscito. 7

VENDOLA: alcuni picchi molto interessanti ma sembra stanco; alcuni applausi meritati, un po’ spento. Non è riuscito a presentarsi come candidato idoneo al voto moderato, forse non ha voluto, e questo è significativo: sta facendo una battaglia di nicchia? Comunque, al solito, bravo, 7 1/2

RENZI: ha fatto un figurone, ha minimizzato i suoi difetti ed esaltato i suoi pregi,  pur dicendo qualche sonora vaccata. Deve essersi molto preparato. Ha preso molti applausi e questo conterà. 8

PUPPATO: è una donna e questo è importante. I parlamentari sono dipendenti pubblici e questo è uno scivolone grillino che non si perdona. Brava, 7

TABACCI: quieto, piatto, molto competente su alcuni temi giuridici proprio dove conta, conservatore sui diritti civili. Sarebbe un eccellente ministro. 6

22.19 Arriva il Pantheon: Bersani vuole Papa Giovanni, una figura di cambiamento rassicurante. De Gasperi e Martora per Tabacci. Per la Puppato, Tina Anselmi e Nilde Iotti. Renzi Nelson Mandela e la blogger pakistana. Vendola vuole Carlo Maria Martini.

22.17 Bersani torna sulla coalizione anche se Semprini voleva passare oltre. “Basta populismo”, sostanzialmente dice Bersani, anche se non si capisce benissimo cosa abbia detto a questo giro.

22.13 Tabacci dice una cosa intelligente, che 10 ministri sono una stupidaggine. Ce ne vogliono 18 più 36 sottosegretari. Renzi replica: a Firenze ci sono 9 assessori, ma il punto è che “il vento nel paese è cambiato”. Piuttosto poco pertinente, Renzi: governare è una cosa seria. Anche la Puppato lo attacca sul punto, veramente una stupidata.

22.11 Matteo Renzi vuole un governo di 10 persone, 5 uomini e 5 donne senza Pierferdinando Casini. Cambio della legge elettorale sul modello dei sindaci, perché “di Casini ne abbiamo abbastanza”. Sì a Vendola, dice Renzi: sono affermazioni importanti che lui ha sempre detto ma dette qui sono più importanti. Semprini gli richiede se il governo di Renzi è Pd+Sel e lui aggiunge anche Tabacci – fa ridere. Standing ovation quando rivendica l’appartenenza al centrosinistra.

22.08  Tabacci dal punto di vista giuridico è molto concreto: il Monti Bis è una chimera perché “il mio candidato al Quirinale è Mario Monti”, e in ogni caso l’incarico al premier lo dà il Presidente della Repubblica. Semprini non capisce una mazza e fa confusione.

22.07 La coalizione di Bersani è quella dei senza pregiudizi: quella dei presenti, poi si apre un tavolo con le forze moderate. Lo dice chiaro, stacce.

22.04 Si riprende da Vendola con il suo governo: primo, assoluta parità di genere perché le donne sanno ascoltare meglio il mondo e per il governo è un guadagno: la coalizione? Dalla precarietà nella scuola all’ambiente: prima di immaginare una coalizione politica, l’alleanza con le giovani generazioni. Ma la domanda era su Casini, Nichi, mica no.

22.00 Su Twitter in molti dicono che la sostenitrice di Vendola sarà di danno al suo candidato. Non credo, dai.

21.58 La sostenitrice di Bersani chiede a Tabacci se l’elettore moderato potrà mai essere attratto dal centrosinistra. Che domanda è mai?

21.55 La sostenitrice chiede alla Puppato se si dimetterà da consigliere regionale o se ha intenzione di “accettare un premio di consolazione”. Lei dice di no. Poi voleva fare domanda a Renzi ma Semprini gli sbrocca, quasi.

21.52 La Vendolina in evidente imbarazzo domanda a Renzi: “L’autore del suo programma elettorale, Giuliano da Empoli, ha rivalutato le potenzialità dell’energia elettorale; e Roberto Reggi che vuole aprire ad Oscar Giannino e alle sue posizioni su Fukushima?” Domanda molto tentennante e Renzi ha facile risposta, dà del tu alla ragazza. “Io non so quel che pensi Da Empoli sul nucleare né Reggi; siamo contro il nucleare e l’abbiamo detto ieri insieme ad Ermete Realacci. Giannino e Fermare il Declino hanno idee economiche sulle quali Nichi sarà molto distante”.

21.50 Il Tabaccino chiede a Bersani di liberalizzazione e rivoluzione liberale. “Ho una certa passione sul tema, ho varie idee ma non le dico perché sennò le bloccano”. Ci sarà una lenzuolata, sì, ma sulla moralità pubblica: leggi contro la corruzione – quella di Monti non è sufficiente – falso in bilancio “in ‘sto paese qui”; grande applauso sulla normativa per i figli degli immigrati per la cittadinanza italiana. Prima volta che qualcuno nomina mafia e camorra e per me Bersani ha appena guadagnato 500 punti solo pronunciandola.

21.47 Arriva il question time: il sostenitore di Laura Puppato domanderà a Nichi Vendola. La studentessa in Scienze Politiche chiede a Nichi chi voterebbe se non fosse candidato alle primarie. Domanda molto velenosa, e infatti Vendola la chiama “crudeltà”. Vediamo se risponde. “Molta stima per i miei competitor”, ma le sue idee sono “molto lontane da tutti gli altri ad esempio sul voto del fiscal compact”. Semprini chiede i nomi, ma Vendola non li fa: solo un accenno alla differenza di genere. “Non ce la faccio a fare un endorsement per gli altri”.

21.46 Parla anche Bersani in replica: diciamocelo, si erano scordati di poter replicare. Si accoda a Tabacci, ancora un accodo.

21.45 Tabacci controreplica, gli dà del demagogo e viene applaudito. “Chi va in parlamento e fa l’avvocato può continuare a fare la professione? Chi va in parlamento deve fare una scelta di campo. Quando sono tornato ho venduto la mia società”. Primo guizzo di Tabacci molto convincente.

21.44 Renzi replica a Vendola sul finanziamento pubblico ai partiti: “Nonostante la legge sul finanziamento pubblico più generosa d’Europa la politica continuano a farla i ricchi. Forse perché non abbiamo fatto la legge sul conflitto di interessi”. Affondo velenoso, poi richiama il referendum tradito. Comunicativamente ha una gran ragione da vendere, ma il finanziamento privato è una boutade. Il pubblico in delirio.

21.42 Renzi vuole utilizzare un diritto di replica – ogni candidato ha tre jolly. Ma prima parla la Puppato: “Basta sprechi e privilegi. Partiti certificati con bilanci alla luce del sole” – perché non l’ha detto Bersani? – “spese ridotte a quelle di comunicazione e informazioni: tutte le spese ludiche e immobiliari vanno escluse”. Domanda di Semprini sul numero dei parlamentari, la Puppato continua per la sua strada parlando di scorte: una cosa che in Usa non sarebbe stata concessa, il Semprini di turno si sarebbe impuntato. Il tempo è finito e la Puppato non ha risposto sul numero dei parlamentari.

21.40 Tabacci vuole ridurre il numero dei parlamentari; ridurre ad un quarto il finanziamento dei partiti ed attuare l’articolo 49 della Costituzione perché i partiti devono essere “case di vetro”. Possibile che l’ha detto Tabacci e non Vendola o Bersani? Una riforma di civiltà da fare.

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Cambiare davvero

Da quando Barack Obama ha conquistato la sua straordinaria seconda vittoria elettorale giorni fa, continuo a scervellarmi tentando di capire cos’è che voglio dire in proposito, perché mi sembrava una cosa importante. Avevo pensato di scrivere un articolo su quanto fosse immensamente un eroe, Obama; su quanto fosse splendido vivere in un mondo in cui è arrivato lui, quell’altra spaccatutto della moglie, in un mondo in cui quei quattro si abbracciano dentro la Casa Bianca.

C’è anche questo, ma poi ho deciso che mi sembrava un po’ banale e inutilmente celebrativo. E allora ho visto sul New York Times i flussi elettorali che hanno portato Obama alla rielezione, e ho capito dov’è stato il vero miracolo; perché il Presidente ha vinto per la seconda volta con un margine più che apprezzabile in un paese in cui, a ben vedere, l’intera base elettorale che lo aveva votato con convinzione nel 2008 gli ha,oggi, parzialmente voltato le spalle. Le frecce che da blu diventano rosse sono più che esplicative della situazione. Eppure Obama ha vinto, e di nuovo. Chi aveva votato a sinistra ha votato a destra, ma non abbastanza. Il partito Repubblicano non è stato abbastanza forte per invertire la rotta. Obama è andato troppo avanti.

Il che vuol dire che Barack Obama nel 2008 ha vinto due volte. Ha raccolto, nel 2008, un paese ridotto in macerie, lo ha sollevato e ha fatto un salto così lungo che quattro anni dopo, anche con un discreto (ma non ottimo) corridore, e nonostante qualche inciampo, non ce la si è fatta a raggiungerlo; e anzi, visti sopratutto i risultati di alcuni referendum fra i più liberal che si fossero mai visti in America, c’è da pensare che alcune conquiste siano ormai da dare per acquisite.

Ho pensato così, che quel che voglio dire è che serve una cosa del genere anche in Italia. Ma no, “l’Obama italiano”; quelle sono cretinate da giornalisti in cerca del titolo. Serve qualcuno in grado di simboleggiare la riscossa forte di un’idea che viaggi sui tempi lunghi; che indichi un nuovo modello di paese, di convivenza civile, di tessuto dei rapporti. Qualcuno che ci dica qualcosa di importante e di coraggioso, talmente folle in apparenza da aver di che dire, dopo, “ci avevano detto che questo giorno non sarebbe mai arrivato”.

C’è il centrosinistra italiano che si prepara a vincere le elezioni. O almeno, è quello che dovrebbe fare. Io, ancora una volta, sono indeciso; perché non vedo quel coraggio di proporre una visione lunga e radicale nemmeno in chi dice di averlo, e di volerla dare. Credo che non basti una riorganizzazione di questo paese, una limatura qui e lì; credo che ci voglia una rivoluzione dei costumi. Un’elaborazione collettiva di un’epoca che ci ha distrutto, che ha traumatizzato i rapporti umani fra le persone, che ha corrotto i cuori dei giovani in un modo che non credevo di poter immaginare – e li vedo, i ragazzi, li vedo; che ci ha insegnato che in fondo in fondo è bello essere cattivi, furbi, egoisti. Serve qualcuno che ci prenda per mano e ci porti a cambiare davvero, perché noi non ne siamo più capaci.

Come l’altra volta, sono indeciso. Nelle prossime settimane, come quando sono stato indeciso alle primarie del Partito Democratico, leggerò i programmi e li commenterò qui, fino a farmi un’idea su chi andare votare. In realtà, un mezzo piano già ce l’ho, ma non so se reggerà alla prova delle idee. Faremo in modo di vedere, insieme, ciò che questa gente ha da dire.

Sperando che basti per cambiare davvero.

Incandidabilità, si può fare di meglio

Il decreto delegato sull’incandidabilità all’esame del governo rischia di essere, anche se approvato, l’ennesima riforma potenzialmente inutile che non aggredisce con decisione il bisogno per cui è stato fortemente voluta dall’attuale esecutivo. Disporre l’interdizione ad ogni ruolo elettivo per chi ha condanne definitive è qualcosa di cui si parla da tanto tempo, e che esisteva ben prima di questa legge: si chiama interdizione dai pubblici uffici ed è una condanna accessoria, obbligatoria per alcuni reati, presente dal codice penale da prima di Berlusconi, da prima di tutti i democristiani, fin dall’epoca fascista.

E allora, perché i tanto temibili politicanti non sono stati espulsi dal parlamento molto tempo fa? Per la stessa ragione per cui potrebbero non esserlo con questa legge: per colpa della giustizia italiana, che è notoriamente uno sfacelo. L’ultimo rapporto sullo stato della giustizia, pubblicato alla fine di ottobre dall’Unione Europea, conta oltre un milione di processi penali pendenti davanti ai nostri giudici di primo grado – non ho fatto una somma, ma mi sembrano più dell’intera Unione messa insieme. Secondo Marco Velicogna del Cnr sentito dal Giornale, “il settore penale registra un costante aumento nella durata dei procedimenti” in appello” con 998 giorni”, che sono poi più di 3 anni, a cui vanno aggiunti altri 240 giorni in Cassazione”. E poi la prescrizione, spesso, ha chiuso e chiude i giochi.

Una riforma potenziativa degli istituti di interdizione dai pubblici uffici viene giudicata una strada preferibile anche da Transparency International Italia, col direttore della quale ho parlato tempo fa per un’intervista riguardo la normativa anticorruzione. Credo che al sistema giustizia italiano serva innanzitutto una riforma della giustizia che metta mano al finanziamento e all’organizzazione (con quest’ordine di priorità) degli uffici giudiziari, ma nell’immediato si può pensare ad una nuova semplice semplice legge, aggiuntiva a quanto si sta elaborando nelle stanze del Governo, che preveda l’esecutività della condanna accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici di tipo elettivo,  per certi tipi di reato, già dopo la condanna in primo grado; interdizione che duri fino a decorrenza del processo con sentenza definitiva, che potrà poi eventualmente confermarla, con lo sconto di quanto già patito o, in caso di assoluzione successiva, revocarla. Così il soggetto, già condannato una volta, sarebbe costretto giuridicamente a passare mano e lasciar stare la politica fino a che la sua situazione penale non si sarà definitivamente chiarita. Nessun linciaggio, nessuna emergenza democratica, semplicemente un’autotutela da parte dello Stato.

L’esecutività provvisoria della sentenza accessoria è già presente nel nostro ordinamento per i danni da reato: il condannato in primo grado intanto paga, poi si vede. Per estendere questo regime all’interdizione basterebbe inserire un articolo 28 bis al codice penale e i relativi aggiustamenti a quello di procedura; visto che le elezioni sono vicine si può fare per decreto urgente. Rimane da capire se il soggetto a cui venga addossata questa sentenza cautelare, se venga riconosciuto innocente, possa chiedere i danni per perdita di chance elettorale. Ma mi sembra un discorso laterale.

Le riforme a colpi d’accetta

Sono assolutamente convinto che la questione degli enti locali, delle loro prerogative, funzioni, del loro finanziamento e del peso che hanno sulla spesa pubblica sia centrale per il buon funzionamento del nostro paese. Fra gli enti locali, come sempre in Italia – ma credo nel mondo – si annidano eccellenze da promuovere e abusi da colpire. Uno di questi abusi è stato, nel corso degli anni, la creazione di nuove province per questioni spesso di campanilismo se non, addirittura, per la necessità di creare poltrone da riempire.

Tuttavia le province hanno col tempo acquisito competenze non indifferenti. Le strade locali, arterie di comunicazione dell’Italia profonda, gli edifici scolastici. Dopo la riforma del governo Monti che con la spending review ne dimezza il numero viene da chiedersi se funzionerà il trasferimento di queste competenze ad altri enti o se sarà un gran pasticcio. Mente chi dice che le province non si possono abolire “perché sono in Costituzione”: anche le Città Metropolitane sono nella Carta Costituzionale, non sono state mai attuate finora, nessuno ha commesso illegalità. Questo per dire che le province si potrebbero comodamente cancellare senza bisogno di riforma Costituzionale di alcun genere: sulla carta c’è scritto che esse vanno istituite, non quando, dove e come.

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