Archivio per Maggio 2010

Secondo me vince lui

Oggi è il giorno di una tornata elettorale di amministrative, in Sicilia, in Sardegna, in Trentino.

A Ribera, un paesino dell’Agrigentano, c’è un unico candidato, con una coalizione che va dal PDL ai “Democratici e Liberi” del PD. Per non fare in modo che fosse proprio una farsa, Carmelo Pace ha candidato il cognato con una lista fantoccia. Ma secondo me non ce la fa – il cognato, dico.

Alemanno, sulle barricate!

Questo governo ha ancora davanti a se pochi mesi di vita: perchè si deve rendere conto che si sta mettendo contro un nemico molto più forte di lui. Già. Se due delle misure per ora nel testo della finanziaria che Berlusconi presenterà oggi alle tre non saranno espunte, sarà guerra senza quartiere.

Mi riferisco al ticket una tantum di dieci euro sul turismo romano, e ben di più al pedaggio sul Grande Raccordo Anulare.

“Buongiorno signori, benvenuti in Italia; il nostro è un bellissimo paese, ma i nostri conti pubblici sembrano una barzelletta: perciò, per soggiornare, dovete pagare una gabella di dieci euro al governo”. Ecco, se un albergatore vi presentasse una situazione del genere, voi vi arrabbiereste? Si. Paghereste, ma non sarebbe un bel benvenuto.

Ma vabbè. So’ turisti, crucchi e yankee, navigano nell’oro, schiattassero. E’ per il pedaggio sul Grande Raccordo Anulare, che Berlusconi dovrà scappare inseguito dalla folla in preda al delirio. Considerando in primo luogo il fatto che chi conosce il GRA sa bene che è strutturalmente impossibile metterci il pedaggio: non è pensato per quello, infatti non c’è spazio per mettere i caselli. Allora o si creano dei caselli strambi, che moltiplicheranno il già paranoico traffico, oppure, non saprei, facciamo pagare il pedaggio una tantum a tutti i residenti della città?!

In entrambi i casi, uno peggio dell’altro, Berlusconi, come detto – in realtà Tremonti, ma vabbè – si sta mettendo contro un nemico non alla sua portata: i pendolari del traffico romano. Mi rendo conto che un governo lungimirante debba prendere misure impopolari; non sto neanche scendendo nel merito: ‘sti soldi, da qualche parte, bisognerà prenderli. Ma secondo me sarà guerra batteriologica, sangue ovunque, risentimento diffuso, foto di Berlusconi come bersaglio delle freccette negli Autogrill del Raccordo, sedili dei camion foderati con la sua faccia ad ammorbidire il deretano di camionisti, non solo bloccati in quel bordello inumano che è il traffico di Roma, ma anche costretti a pagare un balzello: siamo al rotatico versione 2010. Eh no, belli miei, ce li convincete voi, quelli, a pagare.

Tralasciando, ancora, la banale considerazione che provvedimenti del genere (alberghi, trasporti) con tasse piatte sarebbero clamorosamente disincentivanti per l’economia locale romana – c’è da chiedersi, in effetti, se non siano frutto di un suggerimento di fonte verde-padana, fossi Alemanno, e tenessi alla mia vita e al mio mandato di Sindaco nel 2013, chiederei al governo di allargare la manovra, almeno, alle grandi tangenziali dei grandi centri urbani (Milano, Torino, Napoli…). Peraltro, da romano – mi scuserete – mi sembra anche più giusto.

Punte di orgoglio rivoluzionario

Probabilmente tutti saprete chi è Elio Germano. Elio Germano è quel bravissimo attore roscetto, simpatico, che fa i film impegnati e che ieri ha vinto la Palma di Miglior Attore a Cannes. Senza rinunciare poi a criticare quel Governo che parla male degli attori che parlano male di ciò di cui c’è da parlar male: ovvero, le cose che non vanno in Italia.

Ebbene, Elio Germano non è semplicemente un qualsiasi attore mediocremente radical-chic che ce l’ha co’ Berlusconi perchè Berlusconi ce l’ha con lui: Elio Germano è quello che si definisce, comunemente, un vero compagno.

Quando l’università era in fiamme, Elio Germano c’era alla serata degli artisti per l’Onda Anomala – insieme agli Assalti Frontali, insieme a Simone Cristicchi, Daniele Silvestri e Valerio Mastandrea. Quando i fascisti picchiarono dei ragazzi che attaccavano manifesti fuori l’ateneo, Elio Germano c’era, alla serata di solidarietà. E se girate per San Lorenzo e sapete dov’è l’ESCAtelier – e sapete cos’è, soprattutto, l’ESCAtelier (io lo so, e per me è troppo, per dire: mai entrato) – probabile che ce lo trovate, fra una birra e un reading, o comunque, se chiedete, lo conoscono e vi sanno dire come rintracciarlo.

Per questo, Elio Germano migliore attore a Cannes è una vittoria non solo sua, è la vittoria dei contenuti, dei film di Luchetti e Virzì, è la vittoria di quelli a cui Elio Germano ha sempre fornito solidarietà, con presenze gratuite, con spettacoli all’aperto, con momenti condivisi: studenti, precari, movimenti.

E il Tg1 che censura la sua frase (difetto tecnico? Ok: ma poi Romita che legge la dichiarazione “polemica” per riassunto, e non per intero, è censura), per non dare un dispiacere alla – presunta – telespettatrice media del notiziario di prima serata della rete ammiraglia (“così un bravo ragazzo, ma perchè critica il Governo?”), a Elio Germano, gli fa solo piacere.

Elio Germano è un grande attore, e al pratone della Sapienza gli ho chiesto un autografo: me lo ha dato, sorridendo.

Masse e potere

“Tanti italiani hanno sofferto la barbarie di vedere notizie private apparire sulla prima pagina dei giornali senza nessun filtro, una barbarie che deve finire.” Strepitoso, Frattini, nel rispondere al sottosegretario americano alla Giustizia che, ultimo di tanti in questo cappottone su Berlusconi, ha criticato il Governo per la un-tantino-indegna norma sulle intercettazioni in discussione in Parlamento in questi giorni.
E la cosa migliore è che non è così: perchè questa giustificazione, quella dei tanti italiani poveri e intercettati, ripetuta come un mantra dai corifei di Governo, non regge. Quali sarebbero, questi “tanti italiani” finiti sui giornali per le intercettazioni? Presidenti del Consiglio, ministri, gente importante, conosciuta, nota; o sottobosco romano, palazzinari, affaristi: gente comunque coinvolta in affari, loschi o meno, nel senso di vicende sotto attenzione della magistratura. Perchè è così che funzionano le intercettazioni; ed è anche così che funzionano le notizie.
Allora, Frattini mente, o la spara grossa quantomeno; ed è questa la sua forza, la forza di questa legge: perchè il signor Pinco Panco di Reggio Emilia o la signora Concettina di Potenza non sono mai finite sui giornali, sbobinato in pagina un loro dialogo intercettato. Ed è per questo che contro questa legge non si è ancora sollevato un putiferio popolare: perchè non si tratta di questioni con cui il grande, indistinto popolo-pubblico si confronta quotidianamente.
Lo sa bene Berlusconi, che quando uscì fuori l’affare di Via del Fagutale, coinvolto Scajola, capì che bisognava agire, e in fretta, perchè “sulla casa” la famosa Italia proprietaria dell’82% delle proprie case, dunque pagatrice di onesto mutuo, è pronta a farti la pelle. Ancora una volta, dunque, oggi, l’azione del Governo è immune dal controllo popolare finchè si svolge nell’iperuranio della vita quotidiana, nell’ignoto al signor nessuno, nel comune e accettato intrallazzo della casta al potere. Questa è la forza: finche la famosa maggioranza informe non sentirà la necessità di capire che i lontani “impicci e imbrogli” del potere hanno riflesso diretto sulla sua vita, non sarà facile uscire dal circolo vizioso della casta che crea privilegi alla casta, impunita, incontrollata, ignorata.
Certo, senza le intercettazioni, è proprio la tomba di un ragionamento del genere, e la fine di ogni prospettiva di miglioramento.

Frasi sibilline buttate li

Nella sua (non del tutto) condivisibile prosopopea di stasera in apertura di Annozero, Santoro a un certo punto accusa “quelli dell’Italia dei Valori” di esser molto bravi a fare “operazioni immobiliari” ma molto poco a difendere concretamente i giornalisti vittime di Berlusconi. A che si riferisce, Santoro?

No, perchè, o si riferisce ad alcune storie molto vecchie, quelle delle case in affitto denunciate tempo fa da Panorama, o si riferisce al caso in cui è coinvolto oggi Stefano Pedica, che lo vede in rapporti col Balducci della cricca (anche se il dirigente romano ha già comunicato che adirà le vie legali contro Il Giornale che lo accusa); oppure Santoro sa qualcosa di nuovo che però non dice. E, visti i tempi che corrono, magari è il caso di tenere d’occhio la situazione.

Oppure ancora, ipotesi molto più residuale – mi rendo conto – mi sono perso qualcosa d’importante io. Voi che leggete, avete idee in proposito?

Vendere vendere vendere

L’aspetto più tragico, ma anche il più comico della discussa legge delega sul federalismo demaniale che arriva domani sul tavolo del Consiglio dei Ministri, dopo l’ok della Commissione Bicamerale, è che non serve assolutamente a niente.

Sono giorni che ci viene ripetuto in tutte le salse che “il federalismo non costa, anzi, col federalismo si risparmia”: ma si risparmia che cosa, scusate?

La riforma introduce la possibilità per lo Stato di assegnare a costo zero gli immobili inutili alle Regioni e agli enti locali in genere, cosicchè essi li possano alienare o altrimenti valorizzare. Dunque, al massimo si risparmiano i costi di gestione delle caserme dismesse che lo Stato ha sul groppone senza sapere che farci. Il che può anche essere giusto, se quelle stavano li a marcire.

Ma andiamo oltre: queste caserme, o altri immobili analoghi, sfitti e inutili (è di questo che parla la legge: lo Stato si disfa di beni inutili, perchè quelli utili magari se li tiene, no?), finiscono alle Regioni. Allora: o alle Regioni questi immobili servono, ed esse si dovranno attrezzare per gestirli; e quindi, giù con uffici di gestione, assunzioni massicce, allargamento degli uffici di controllo del demanio regionale  – o per valorizzarli, tipo, trasformare una vecchia caserma in un centro polifunzionale al servizio della città: lodevole, ma con quali soldi tutto questo, se Tremonti ha già detto che fra un mese segherà a tutti gli enti locali la metà dei trasferimenti?

Oppure alle Regioni questi beni non servono, e li dismette. Prima di tutto bisogna trovare qualcuno che se li compra, ‘sti beni sfitti. Chi? Boh. E così il bene, sfitto prima, finisce alla Regioni che non riescono a venderlo, e rimane sfitto dopo: alla grande.

Oppure qualcuno effettivamente se lo compra. Ok, bello. Allora diciamo che l’intento del governo, ovvero quello di trasferire il demanio alle regioni per “valorizzarlo” (cioè, per fare cassa, e menomale che hanno inserito l’emendamento per la vincolatività degli introiti alla copertura del debito pubblico, sennò chissà che ci facevano, poi, co’ ‘sti soldi) succede solo in un caso su quattro dei possibili. Il 25% di probabilità: un bel rischio. In ogni caso, poi, o la situazione non cambia, o lo stato guadagna: in nessun caso risparmia. Anzi, è molto probabile che, per colpa del rigonfiamento burocratico e della duplicazione degli uffici di gestione del demanio, i costi schizzeranno in alto.

E, comunque, se pure tutto va bene, lo Stato si comporta come quel riccone che, vecchio e soddisfatto, si ritira nel villone in campagna dopo aver venduto tutto quello che ha. Cioè, lo Stato, vendendo, alienando o altrimenti “valorizzando” il suo patrimonio immobiliare, si impoverisce. Poi però non lamentiamoci se le aste per il debito pubblico vanno deserte: perchè se io presto dei soldi a uno Stato pieno di case di lusso e bei palazzi che, alla bisogna, potrà vendere per pagarmi; o se li ha già venduti, magari i miei soldi li presto a qualcun altro.

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Da domani, o giù di li, torniamo su questi schermi.

Dài, Napolitano

Dica la verità, se il presidente Napolitano dovesse chiamarla lei direbbe di sì?
“Beh, se Napolitano mi chiama… lo sa che il presidente mi è sempre stato simpatico”.

Dài, Napolitano: invitacelo. Vediamo questo bluff. Fagli sapere, per le vie brevi o a mezzo stampa, che la sua presenza a qualche importante celebrazione per l’Unità è gradita e richiesta.

Così, o non ci va, e allora se ne sarà preso la responsabilità – di ritirare fuori il secessionismo, di mostrare di non credere all’Italia unita – oppure ci va, e finalmente Bossi celebrerà il tricolore, come è poi giusto che sia per un Ministro della Repubblica, e tutti saremo contenti (e potremo ascoltare divertiti i commenti degli ascoltatori di Radio Padania, il giorno dopo).

L’educazione sessuale del giovane PD

[per Giornalettismo]

Posso Dirlo?” Dica, vicesegretario, dica. “Dobbiamo diventare più sexy”. Non è H&M che pubblicizza la sua nuova linea primavera-estate per il 2010: è Enrico Letta, vicecomandante del principale partito del centrosinistra italiano, il PD, intervistato da Marco Damilano sull’Espresso di questa settimana. “Come vi attrezzate ai tempi nuovi?” chiede il notista politico del settimanale più prestigioso d’Italia; “dobbiamo diventare più attrattivi”, risponde l’ex-candidato segretario.

Bene. Ma attrattivi è una cosa, attraenti è un’altra. Un partito attrattivo si valuta sui contenuti che propone, sulle politiche che mette in campo e sulle proposte che porta avanti per il paese; un partito attraente è mera apparenza. Sexy è apparenza. E se è vero che Letta nelle risposte immediatamente successive illustrerà due proposte di assoluto contenuto, come una nuova politica fiscale e l’adozione della trasparenza nella politica come parola d’ordine per il PD, allora il problema qui è solo di linguaggio.

Cosa si pensava di fare con un’uscita di questo tipo? Si pensava che non sarebbe risultata come nota stonata? Se si dichiara qualcosa del genere, è normale che diventi ciò che risalta maggiormente dell’intera elaborazione, magari a scapito di punti ben più importanti. Le gaffes, in politica, non sono permesse: mai. Anche se si pensa una cosa del genere, non la si dice.

Perché si fa la figura di quello un po’ ganassa che butta lì la parolina magica fingendosi molto smart, e invece fa solo ridere i polli. “Partito sexy, non so se mi spiego” – occhiolino. Hanno bisogno di un partito sexy i cassintegrati di tutta Italia? Gli importa dell’attrattiva sessuale, ovvero dell’attraenza esteriore del partito che li dovrebbe rappresentare, i precari e i diseredati del Paese che attendono risposte? No. Hanno bisogno di Pierluigi Bersani che fa rapa a zero Marco Travaglio quando quest’ultimo inizia a spararle troppo grosse sul PD e sul lavoro. Hanno bisogno di una classe dirigente unanimemente concreta che, davanti alla fuffa fritta degli ultimi 15 anni guardi l’Italia con occhio critico costante per proporre una solida alternativa.

Il PD è tutto questo? Probabilmente, o quantomeno forse. Ma nel momento in cui si inciampa in tali cadute di stile, la gente si mette a ridere e passa ad altro. La nostra è eccessiva severità? Mettiamola così: era proprio necessario esprimersi in quel modo? No. E allora, nel dubbio, meglio lasciar perdere. Se c’è anche mezza possibilità di essere male interpretati, tanto vale mettere maggiore attenzione sulle proprie parole.

Tralasciando il fatto poi che il centrosinistra ogni tanto se ne salta fuori con queste metafore sessuali non del tutto giustificate. Non è la prima volta. Le continue fibrillazioni della maggioranza di Romano Prodi, quella che votò per un soffio a favore della missione italiana in Afghanistan, erano “thrilling”, “sexy”: arieccolo.

Potrebbe anche essere che qui serva un po’ di sana educazione sessuale. Nel centrosinistra ogni tanto qualcuno dice “tette” e tutti ridacchiano, come se avessero quindici anni. Magari devono parlare un po’ con la mamma, che gli spieghi come nascono i bambini.

Scusassero

Ogni tanto sui blog si legge roba tipo “scusate, non aggiorno più per un po’, ho molto da fare ultimamente”. Ho letto di recente uno di questi annunci – di comune buona educazione e rispetto per i lettori – titolato una cosa come “Scuaste, ho anche una vita”.

Dunque, non so se un tomo di Diritto Amministrativo da finire di studiare e sapere entro 17 giorni costituisca un esempio di vita più o meno degna da condurre: fatto sta che è una situazione del genere a tenermi lontano dall’essere assiduamente presente su queste pagine. Faremo comunque il possibile per fare del nostro meglio: ma scusate se non sempre ci riusciremo, nei prossimi giorni, e se ultimamente non ci siamo riusciti. D’altronde lo studio è un mestiere.

🙂


D-Avanti è il Blog di Tc.
Tc sta per Tommaso Caldarelli.
Tommaso Caldarelli sarei io.
E l'immagine di testata è quella storica del blog

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