Archivio per 5 marzo 2010

Regionali, il decreto della coscienza sporca

[per Giornalettismo]

La scrittura di un decreto d’urgenza, che posticipasse in modo del tutto artificiale il naturale svolgimento di questa tornata elettorale, avrebbe il vago sapore di un ammissione di colpa da parte di chi, in queste ore, lamenta di aver subito un torto. Perché, infatti, una forzatura del genere? Che bisogno c’è?

Le liste ancora escluse dalla competizione elettorale, dopo che i giudici hanno rimesso in gara le situazioni che non presentavano vizi insanabili, sono quella provinciale del PDL romano e l’intero blocco di liste collegate al candidato presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni: in entrambi i casi sono già stati presentati i ricorsi nelle sedi competenti, ovvero i tribunali amministrativi. Dunque? Di che decreto si va parlando?

La giustizia sta seguendo il suo corso. Le liste che potevano essere riammesse lo sono già state; per le altre si sta vagliando, speriamo con onestà. A giudicare poi dalla sicurezza che ostentano i legali del PDL, i quali affermano con certezza e con forti argomentazioni che c’è stata la lesione di un diritto, non si capisce assolutamente perché non si debba, serenamente, aspettare l’esito della naturale procedura giurisdizionale. Se i delegati di lista del PDL di Roma erano effettivamente in aula in orario, e se è vero che già solo questo basta a garantire la validità della presentazione della lista, non serve un decreto: il giudice gli darà la ragione che meritano. Se le firme che Formigoni giura essere regolari lo sono davvero, non serve un decreto: il giudice gli darà la ragione che merita. E se questo non dovesse succedere, c’è il Consiglio di Stato. E poi la Cassazione.

Dobbiamo tutti metterci in testa che le cose funzionano così. E sapete che c’è di nuovo? In questo paese è ora che si impari che se tre giudici di fila stabiliscono che si ha torto, probabilmente è perché torto lo si ha davvero, e non si ha il diritto di accampare pretese. Finché ciò non avviene, se si è sicuri delle proprie ragioni, occorre aspettare tranquillamente l’inevitabile e liberatoria assoluzione.

L’ affrettarsi, invece, a mettere insieme misure così proterve e turbative del naturale fluire del sistema democratico, non può andare bene. Ne abbiamo visti a pacchi di decreti legge senza capo ne coda: quello che si va pensando in queste ore è senza dubbio uno dei peggiori. Perché ci consentirebbe davvero di sospettare che le cose non siano state pulite come avrebbero dovuto: ovvero, che a Roma i delegati siano davvero arrivati tardi per presentare la lista; che in Lombardia si sia veramente barato; e che adesso si stia cercando di correre ai ripari in questa maniera scomposta e irrispettosa della democrazia.

E tutto ciò giustificandosi con la difesa della democrazia stessa, e del sacro valore del voto. Bastano pochi minuti di riflessione per rendersi conto che tutto questo non ha senso: le elezioni sono libere e libere saranno, e, bisogna dirlo, il diritto di voto dei cittadini italiani non sarebbe per nulla intaccato se sulla scheda non ci fosse il simbolo del PDL: come quello di qualsiasi altro partito. L’elettore ha diritto di votare liberamente qualunque lista si sia presentata e accreditata secondo la legge: se una lista così non ha fatto, è giusto che all’elettore non sia permesso di votarla. Non mi risulta che qualche organizzazione politica abbia questo diritto mistico, di presentarsi alle elezioni senza neanche chiederlo; così, iscritta d’ufficio per superiori meriti.

Certo, se è stato effettivamente impedito a queste liste di presentarsi, se ci sono stati errori o irregolarità da parte di chi doveva accoglierle; cioè se ciò che affermano gli esclusi ha fondamento, e dunque essi hanno il diritto di partecipare legittimamente alla competizione, è necessario che la loro partecipazione venga garantita. E’ per questo che la vicenda è dinnanzi a un giudice proprio in queste ore, e il PDL ha eccellenti avvocati che sapranno di certo mettere in chiaro le cose per come stanno. Di che ci si preoccupa, dunque? Risolvendola con un decreto, in realtà si ammette di essere i primi a non credere alla propria innocenza, pulizia e correttezza.

Anche perché nessuno ha pensato alle conseguenze di uno slittamento delle elezioni. Velocemente due aspetti: il primo, economico. Quanto costerebbe alle casse dello Stato, alle risorse della collettività, l’organizzare due tornate elettorali distinte? Qualcuno ha pensato a questo dispendio di danaro, prima di ipotizzare un decreto? Secondo: come ci si regolerebbe in merito alla sospensione dei programmi di approfondimento politico, se venissero rimandate le elezioni in Lazio e in Lombardia? Cos’è, mandiamo in onda Ballarò, ma poi oscuriamo il segnale su tutti i ricevitori lombardi e romani perché loro sarebbero ancora in campagna elettorale? Ma dai, cerchiamo di essere seri.


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