Archivio per 22 marzo 2010

Il coraggio dell’arbitro

Domani la Corte Costituzionale decide sulla costituzionalità di alcuni articoli del Codice Civile – “93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis che, in materia di matrimonio e famiglia, nel riferirsi genericamente a “marito” e “moglie”, discriminano le coppie di persone dello stesso sesso.” Così il testo dell’appello “Affermazione Civile” che chiede a gran voce alla Consulta, in sostanza, di dichiarare l’incostituzionalità di queste norme in modo da spianare la strada all’affermazione delle nozze omosessuali in Italia.

L’intento è pregevole e degno di merito; ma la situazione, a mio parere, è in realtà scivolosa, pericolosa, e possibilmente persino controproducente. Il movimento LGBT non dovrebbe festeggiare il fatto che la Corte sia stata investita della questione di Costituzionalità su queste norme. E’ una strada che si annuncia molto impervia, e che, comunque vada, porterà guai. Ci vorrà infatti, domani, un grossissimo atto di coraggio da parte della Corte per dichiarare queste norme incostituzionali, obiettivamente passibili di essere considerate discriminatorie (“marito”; moglie”).

I costituenti sono stati chiari, in proposito. Ovvero, credevano di esserlo stati: l’articolo 29 è lasciato vago non perchè bisognasse aprire la strada alle unioni omosessuali, ma perchè era in vista una ridefinizione dei rapporti tra i coniugi, i più lungimiranti vedevano all’orizzonte il Nuovo Diritto di Famiglia con l’abbandono della società patriarcale, e gli avevano preparato la via in questo modo, con quel testo. L’Assemblea non pensava alla copertura costituzionale dei matrimoni omosessuali: bisogna che su questo ci si intenda.

E però, la porta è rimasta aperta. Il termine “coniugi” può essere facilmente esteso a copertura di nuove situazioni degne di tutela (sebbene, si sappia, c’è dottrina molto autorevole e “amica” – nel senso, non di giuristi reazionari o simili che fa presente come non si possa tirare così tanto l’art.29, avventurandosi troppo in la con l’interpretazione. Bisognerebbe mettersi il cuore in pace e cambiare la Costituzione: si può fare, eh?)

Ciononostante, io non ravviserei alcun problema ad ammettere e garantire copertura costituzionale, anche a testo vigente, al matrimonio civile omosessuale: intendiamoci, ci staremmo preparando ad interpretare la Costituzione, e ad interpretarla tanto. Ma non sarebbe un problema così grosso. Il punto è che qui si sta chiedendo alla Corte di mettere per iscritto questa interpretazione, di creare, di scrivere: e questo non è il suo compito.

Cosa potrebbe succedere?

Diciamo che la corte accoglie; accoglie il ricorso e cancella gli articoli.
Realisticamente, per l’effetto di quello che si chiama horror vacui (definizione qui, a pag 3, testo rintracciato con semplice googlata), la Corte sospende l’operatività della pronuncia fino a che il legislatore non abbia provveduto a rimpiazzare la normativa. E qualcuno ha in mente con quale Parlamento dialoga la Corte, in questo momento? [Edit: ma vedi qui, dove la discussione continua, per un quadro tecnico più preciso.]

Oppure la Corte respinge: e parte la litania. Il matrimonio omosessuale in Italia, mai! La Corte ha detto che è incostituzionale! Piantatela di attentare alla sacra famiglia naturale, voi pederasta! – insomma, non proprio una vittoria, ma anzi una sconfitta di proporzioni cosmiche, perdipiù con una pronuncia dal massimo organo di garanzia del paese.

In mezzo a queste due estremità vivono altre ipotesi intermedie – incostituzionalità affermata ma non dichiarata con rimando al legislatore, sentenza additiva – con cui non vi annoio. Ma il punto rimane.

Qui chi doveva agire era il legislatore. Il Parlamento. Chiedere all’arbitro di riscrivere le regole è pericoloso, perchè non è il suo ruolo. Il ruolo di quell’arbitro è di controllare se le regole vanno bene. E per dichiarare che queste regole, oggi impugnate, non vanno bene, ci vorrà un grosso, grossissimo atto di coraggio. Bisognerà che la Corte pensi e scriva: è giusto, oggi è giusto così, scriviamolo. E scriviamolo noi.

Non mi sto chiedendo “se il paese è pronto”: non è quello che mi interessa. Mi sto chiedendo se la Corte è pronta a fare questo passo, perchè ho paura che non lo sia. Ho paura che faccia melina, ho paura che trovi un modo – lo ha già fatto, tante volte – per dichiarare che una questione così complicata non è di sua competenza. Perchè, in effetti, e lo ripeto, qui ci voleva il Parlamento. E saremmo stati tutti più tranquilli.

Aspettiamo e speriamo, comunque. Vedremo domani.


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